Di rispetto, indignazione e del Gattopardo

 Sono una prof

Anche se di me qualche tempo fa - probabilmente contribuendo a segnare definitivamente il termine della mia esperienza lavorativa presso l'istituto non statale in cui stavo momentaneamente lavorando - qualche tempo fa di me dissi "non sono una prof, sono una mamma che insegna".

Si vede che avevo ancora i figli abbastanza piccoli per sentirmi esclusivamente mamma, incapace di deporre il ruolo in qualsiasi istante.

Ora i figli sono cresciuti un po' ed essere mamma di (quasi) adulti non è la stessa cosa, è venuto meno - con passaggi quasi impercettibili - quell'esigenza di "protezione" che caratterizza la maternità, soprattutto di questi tempi, e la mia pelle un po' è cambiata. Ne ha beneficiato la primogenita, quando l'ho quasi eiettata fuori di casa, intercettando che il suo trasformarsi da ragazzina a "vice mamma" per i fratelli minori necessitava di una soluzione netta e drastica. Intercettando... aveva più presente lei di me il contenuto della dispensa e il giro delle lavatrici. Comodo, per carità, ma nella di lei formazione come essere indipendente direi devastante. Che si occupasse della sua propria dispensa e della sua propria lavatrice, non della mia... Responsabilità è diverso da schiavitù.

Ne fa forse un po' più le spese la piccola di casa, che può essere ancora adeguatamente definita "bambina", ma che avendo l'inclinazione a porsi come un'adulta fin dalla culla - mi era parsa "grande" già quella prima notte in ospedale, aveva (se si può mai dire di una personcina che contava poco più di 3/4 ore di aria nei polmoni) uno sguardo "maturo" - ci sembra già a tutti una che la vita la spiega agli altri, non che ha bisogno di essere accudita. L'ironia, variegata a volte di un leggero sentore di cinismo, con cui interviene nei dialoghi di noi "grandi" - principalmente con citazioni cinematografiche et similia - con stilettate estremamente sagaci e nel pieno rispetto dei tempi comici, non ci fa scattare senso di "protezione", insomma. La mamma "accudente" si è messa in pensione - dentro di me - e sono più nella fase "esci dal nido e spicca il volo".

Non sono più, dunque, anzitutto "una mamma che fa la prof". Nonostante l'estrema precarietà - frutto di una vita a far altro, e della solo recente ripresa dell'attività didattica - diciamo che il vestito da prof ora mi calza a pennello, tien proprio conto dell'appesantimento ponderale della premenopausa, e di tanti altri fattori di questa fase della vita che, diciamocelo, indosso estremamente volentieri.

Essendo una prof, pur fuori servizio, questi sono i giorni, per me, della maturità. Nonostante io non sia "membro interno" e abbia deciso di non propormi neppure come "membro esterno", che la vita è una e io a giugno sono arrivata distrutta... Attendo con trepidazione l'uscita delle indiscrezioni sui titoli dei temi, sulle "tracce delle produzioni scritte" e tendenzialmente mi cimento nello svolgimento ipotetico di quella/quelle che potrebbero aver scelto gli scolari che ho abbandonato sui banchi allo scadere nel mio contratto - ma che effettivamente non riesco ad abbandonare nel pensiero (quando sono per strada guardo sempre i capannelli di giovani adolescenti, o gli esemplari singoli che si spostano o a piedi o in bicicletta, alla ricerca di qualche volto conosciuto. Quanti clacson suonati sventolando una mano "quello è un mio scolaro!", spiegando al malcapitato che con me s'accompagna). 

Cavolo, forse sono ancora una mamma che insegna...

Sto divagando troppo: i temi, le tracce. Mi cimento.

Io mi figuro un gruppo di vegliardi arroccati intorno ad un tavolo ovale - lo immagino ovale perché mi dà l'idea di qualcosa di antico. Se pure sto notando che in qualche modo stanno rispuntando, nell'interior design, promettendo più posti a sedere in meno spazio. Ma per me restano "vetusti", forse perché nella mia casa da bambina il tavolo rotondo del salotto - quello per gli ospiti, che non sono mai venuti altrimenti si sarebbe dovuto pulire da fino casa e tirare fuori il servizio buono - il tavolo rotondo del salotto si faceva ovale aggiungendo una prolunga. Lo trovavo orrendo e inutile, proprio come il "servizio buono" con dei fiori arancioni che sarebbero stati brutti anche dal vivo, figuriamoci ipostatizzati sulla ceramica - torniamo ai vecchi saggi canuti e stanchi, riuniti in sessione plenaria al Ministero. Come avranno selezionato i titoli dei temi le elaborate tracce da proporre alla riflessione dei nostri studenti adolescenti? Avranno valutato il valore educativo dell'ultimo testo scritto imposto al futuro della nostra nazione, suggerendo argomenti di riflessione su cui gli stessi medesimi virgulti - futura classe dirigente - si sarebbero concentrati per cinque/sei ore della loro vita - un tempo praticamente infinito, se paragonato ai tempi di scorrimento di un reel, media attentiva ormai dell'italica cittadinanza - e che avrebbero ricordato (e sognato!) per il resto dei loro giorni?

Su cosa domandiamo loro di concentrarsi? Me li vedo, a spremersi le meningi...

Vabbè, riguardo il tema la traccia di tipologia A (analisi e interpretazione di un testo letterario, per chi non è del mestiere) non stupisce la totale mancanza di aderenza coi programmi effettivamente svolti. I vegliardi di cui sopra, riflettendo intorno al tavolo ovale, sicuramente non son tornati con la memoria a quei 50, forse 60 anni fa in cui loro sono stati - con tutta evidenza per l'ultima volta in vita loro - sui banchi di scuola. Non si ricordano - possiamo fargli noi una colpa? l'età porta consiglio, ma pure una certa tendenza a dimenticar le cose... - che Pasolini a scuola non si fa, non ci si arriva. In quarta liceo si arranca per "voltar via" il Foscolo, Leopardi si attacca di gran carriera in autunno, per veleggiare a fine anno su quel "meriggiare pallido e assorto" che di solito segna il confine su quel che s'inserirà nel documento del 15 maggio (il sacro testo in cui ogni consiglio di classe indica puntualmente gli argomenti effettivamente affrontati da ogni singola classe - quindi ogni singolo studente - e che potranno essere "verificati" in sede d'esame in un colloquio che "non è una vera e propria interrogazione, ma un dialogo su quel che lo studente ha appreso nel suo percorso di studi e che ha fatto suo"). Si arriva fino a lì, poi c'è il vuoto cosmico - m'immagino certo che ci siano eccezioni, docenti "illuminati" che hanno a suo tempo saltato il Carducci - perché a me non piace, e mi pare una ragione adeguata - ridotto all'osso la scelta dei testi per ogni autore "irrinunciabile" dribblato il futurismo con poche battute, e si siano spinti un po' più in là. Ma sono, appunto, eccezioni.

I vegliardi questo non lo sanno, propongono Pavese, Vittorino, Pasolini... e lo studente medio si domanda "chi era costui?" e passa oltre. Tanto aveva già deciso che non avrebbe fatto la tipologia A. Non ha ancora avuto tempo di ripassare il programma di italiano... (ho scritto lo studente MEDIO, lo so che ci sono quelli che fanno il classico, che amano la letteratura e si commuovono leggendo l'Adelchi e non si spostano senza un libro di poesie sottobraccio. Ma qui si parla dello studente medio, quello che fa un istituto tecnico, che si sta diplomando in turismo, o l'agrario... Su cosa gli stanno chiedendo di riflettere i senatori dell'istruzione pubblica? )

- lo so c'è l'altra traccia tipologia A, di quella parlo dopo - 

Tipologie B (analisi e produzione di un testo argomentativo) e C ("tema di attualità"): Gli anni Trenta. Il decennio che sconvolse il mondo; una riflessione sulla parola "rispetto", parola dell'anno Treccani 2024; una riflessione sulla nostra epoca come un quarto d'era (geologica) di celebrità; l'indignazione è il motore del mondo social. Ma serve a qualcosa?; il giudice Paolo Borsellino: i giovani, la mia speranza.

Commenti a caso: ok, la legalità è questione che alla scuola sta a cuorissimo - cuoricini, cuoricini proprio. Si fanno gli interventi dei carabinieri, i corsi, gli incontri con Unica. Sicuramente tra tutti quella traccia lì ha generato in molti studenti almeno qualche fumoso ricordo: massì mentre ripassavo per la verifica di fisica qualcuno mi ha parlato di queste cose. Avendo un percorso scolastico mirato alla costruzione di buoni cittadini, infarciti da ore ed ore di educazione civica - trattata in ambito multidisciplinare, e non mi metto a raccontare la valanga di incombenze per i docenti per incastrare tra loro i percorsi, le valutazioni, per non sovrapporle ad orientamento e pcto, per conteggiare le ore adeguate per ciascuno, per recuperare quelle verifiche per gli assenti... siamo in una scuola gentiliana, ed hegelinamente, dunque, concepiamo i nostri studenti in quanto cittadini. La legalità è uno dei pilastri.

Questa - m'arrendo - traccia ci sta. Certo, evoca il rischio di qualunquismo generale (la mafia è cattiva, la legalità è buona), la fatica di proporre un pensiero originale e sentito. Pensando ai miei studenti di cosa potrebbero parlare - di strettamente personale intendo, senza ripetere a pappagallo quello che gli abbiamo infilato in testa noi?  onestamente mi piacerebbe leggere qualche testo realizzato. Vorrei sorprendermi stupita, insomma.

La legalità ok. Magari poco originale, ma ok.

Cambiamento climatico: idem come sopra. Vengono a scuola con mini auto elettriche - per non rischiare di non pagare il biglietto dell'autobus, che a quell'età è ancora tentazione troppo forte, e per non fare troppa fatica ad alzarsi troppo presto al mattino, ci son quei ragazzetti dotati dalle famiglie di auto senza patente, elettriche. Che consumano meno. Me li vedevo parcheggiare a fianco, al mattino nel parcheggio vicino scuola. Io con l'auto a benzina, usata, bugnata dalla grandine. Con il nastro gommato intorno allo specchietto. "è un'auto per neopatentati" mi giustifico sempre "quando tutti i figli avranno preso la patente penserò a cambiarla". Loro con questi strani oggetti semoventi, nuovi di pacca e microscopici, che parcheggiano senza far manovra. Te credo, ci stanno anche in orizzontale nel parcheggio! Meglio, comunque, dei monopattini. Che, devo notare, non sono particolarmente usati dalla popolazione studentesca. Anche perché, poi dove lo parcheggerebbero? non so... 

Usano borracce (si è stimato che per creare un beneficio in termini ambientali sostituendo le bottigliette di plastica leggera dovremmo usare una e una sola medesima borraccia per circa quarant'anni. Ma ormai sono di moda chi glielo dice a Greta che inquinano di più del pericolosissimo PET?). Poi ad aprile a scuola avevamo ancora caloriferi roventi (e finestre spalancate), consumando in un istituto di medie dimensioni quanto in una piccola industria di automobili... questo però non fa che fornire argomenti al virgulto impegnato nel suo ultimo testo scritto più lungo di una wa. Ci può stare.

Non spendo parole sul tema "storico". Questo lo fanno quei - pochi, ma giuro ci sono e due o tre li ho pure incontrati dal vivo - ragazzi che amano ancora studiare la storia. Nel senso che ne sono proprio affascinati, sanno meglio di te - docente di filosofia che ha fatto il minimo sindacale di esami di storia per poter insegnare, che ne avresti pure fatto a meno e che ti trovi a maneggiare una materia che non è la tua e fai di tutto perché non si accorgano che le date le potrebbero pure sbagliare perché tu non è che te le ricordi tutte davvero - intervengono mentre spieghi con domande che ti mettono in imbarazzo - ma tu insegnando filosofia conosci l'arte del sofisma e ne esci sempre bene, tranne quando te lo fanno notare "prof ma stiamo ancora facendo storia o è passata a filosofia? - quei due o tre studenti ci sono. Marco, Caterina - due dei miei che nonostante me hanno scelto di intraprendere la facoltà di storia - avreste scelto voi il tema sul New Deal? La scottante attualità degli anni Trenta - certo, in un momento storico in cui stanno venendo al pettine tanti nodi del Secondo Dopoguerra, in cui ogni telegiornale ci rimanda (ma tanto ne siamo più che anestetizzati) lo sfacelo dell'umano quotidianamente in atto, perché non farli riflettere su quel capitolo che "lo leggete da soli tanto è facile, poi ci concentriamo sulle conseguenze in Europa ed è meglio che vi spieghi la scalata al potere del fascismo e del nazismo". Si sa mai... 

Rispetto. 

La parola dell'anno del 2024. 

Probabilmente il tema la traccia più scelta - giuro l'ho scritto prima di fare la ricerca. Poco stupore: nel rispetto ci sta dentro pure la legalità e il clima. Sul rispetto abbiamo tutti qualcosa da dire, vivendo in un'epoca in cui prima di parlare bisogna pensare - col rischio, ovvero la certezza, che qualsiasi verbo profferiamo possa urtare una qualche sensibilità. Non è forse il mantra della nostra vita? Rispettare le donne - altro tema in voga nei programmi di educazione civica, orientamento e quant'altro - rispettare il pianeta, rispettare gli animali (no, non cedo alla tentazione, non apro il vaso di Pandora su questo tema. Un'altra volta, un'altra volta). Rispettare addirittura le persone, in quanto tali. In quanto membri del genere umano. Forse rispettare le persone se non mancano di rispetto. Se non si danno all'illegalità. Se trattano bene il pianeta. Se trattano bene gli animali. Esser rispettosi come condizione di dignità umana, insomma...

Tante cose da dire. 

Magari qualcuno ha anche scritto del "rispetto per i genitori" - si sa mai che uno o due davvero educati ci siano ancora in questo mondo - o "rispettare i professori", cioè il loro lavoro, la professionalità, la dedizione. Che la mancanza di rispetto che avvertiamo è sempre quella degli altri nei nostri confronti, mentre potrebbe essere interessante cominciare a spalancare l'ipotesi sul nostro rispetto di noi stessi (cioè l'attitudine a comportarci come esseri umani non perché gli altri lo meritano, ma perché lo dobbiamo a noi stessi...). Volo troppo alto? Mah, io un paio di studenti che l'avrebbero scritte queste cose mi sa che li ho in mente. Ci credo.

Ma veniamo al capolavoro. Perché dopo aver tentato tutte queste tematiche comprensibili, adatte alla costruzione di un "buon cittadino", che rispetta le leggi, rispetta il pianeta, rispetta l'America (non ci avevo pensato finché non lo scritto, e non ne scriverò oltre), rispetta il rispetto...

Ma veniamo al capolavoro, dicevo: l'indignazione. Forse ho capito male io e ora non andrò a rileggere, perché mi fermo alla prima impressione come qualsiasi studente di fronte a 7 titoli tracce lunghe così da leggere - che ti prende un'ora per chi legge lento - prima di scegliere. Se ho capito bene il testo dice: ogni giorno il nostro cervello ha uno slot contenente una certa quantità di indignazione. I social, per acchiappare click, ci mettono davanti titoli "indignanti", noi poi non apriamo effettivamente i contenuti per approfondirli, e così ci giochiamo tutta la nostra scorta di indignazione quotidiana e non ci indigniamo più per quel che meriterebbe la nostra indignazione.

Ora: io urgo un bypass della mia capacità indignatoria. Veramente. Non sapevo di averne una scorta quotidianamente limitata, e devo purtroppo constatare che le mie riserve sono eccessive. Come lo spazio nello stomaco, è troppo grande. Così pure il bacino della mia indignazione. Se avessi anche solo immaginato questa funzione catartica dei social non mi sarei allontanata da fb e ig. (X non ce l'ho mai avuto... troppo logorroica per un social che mi impone un numero di caratteri... ) Cioè ma io fino ad ora avevo creduto che il ruolo dei titoli acchiappaclick fosse esattamente quello di dilatare le voragini della nostra capacità indignatoria, amplificando questo sentimento di disprezzo per tutto il genere umano (e l'algoritmo poi in particolare ci suggerisce che tutti la pensano come noi e si indignano quanto noi per le cose per cui ci indigniamo noi. Non è proprio l'indignazione il barometro di quell'esigenza di rispetto di cui sopra?) e invece imparo, sui banchi dell'esame di maturità  dell'esame di stato che no, il problema è l'opposto: da quando c'ho i social mi indigno troppo poco per le cose per cui dovrei indignarmi davvero, perché tutta la mia vis indignandi la "spreco" per i meme di donne che accudiscono i figli e puliscono casa e lavorano mentre i mariti stan sul divano a far nulla? Cioè i meme mi stanno privando della mia polemica contro la realtà vera?

Ma che davvero?

Ma ho sprecato la parola capolavoro troppo presto.

Non è il tema la traccia sull'indignazione il capolavoro. 

Il vero capolavoro di questa maturità di questo esame di stato 2025 è Tomasi di Lampedusa. IL GATTOPARDO. "Speriamo che i ragazzi abbiano visto il film di Visconti - non letto il libro!! - e non la serie televisiva andata in onda recentemente - e io che ho pensato invece che proprio grazie alla serie è stato rispolverato il Gattopardo - Questa traccia offre la possibilità di scrivere del fascino della Sicilia, dell'ambiente, del cambiare tutto per non cambiare niente". Questo un commento a caldo dell'esperto di turno. Ora, non che io mi immaginassi che i ragazzi avessero davvero letto il Gattopardo. Ai miei figli che pure han fatto un liceo le letture estive consigliate sono state "Vai all'inferno Dante", "Wonder". Sentivo in sala insegnanti indicazioni su Chiara Gamberale, o "La solitudine dei numeri primi". 

Non sentivo citare il Gattopardo - fuor che appunto in riferimento alla serie Netflix - più o meno da quando ho fatto le medie. E infatti anche io ho pensato qualunquisticamente "cambiare tutto per non cambiare niente". Ma non è che ci fai su il tema la traccia di letteratura, su questa singola frase ripescata da qualche ancestrale memoria - o da un bigino messo insieme da chatgpt sui temi statisticamente più probabili al toto argomenti. Infatti il commento prosegue "è chiaro che devono aver ben letto il libro per fare questo lavoro". Il che esclude quanta parte di diciannovenni in Italia oggi? Come mi piacerebbe fare un censimento reale, pagherei per farlo: quanti docenti hanno consigliato quest'anno la lettura integrale del Gattopardo. Oh, magari ne esco stupita.

Ma anche se l'avesse letto, questo libro, quanto può un adolescente del 2025 veramente immedesimarsi nella Sicilia del 1860? In che modo l'ha toccato? Come gli interessa? Perché dovrebbe parlarne, e pensarci su? Boh

A me pare, in tutta onestà, che il vero assente in queste tracce sia il rispetto - diamine, c'ha ragione la Treccani! - dei ragazzi stessi e della scuola come istituzione. Il rispetto di un patto educativo, che non rigetti le "materie di studio" nell'ambito del totalmente altro, di un trascendentale lontano, intoccabile, di cui possiamo al massimo invocare brandelli di memoria. 

Queste tracce di maturità , dell'esame di stato - a parte quella scandalosa sull'indignazione, di contenuto deviante e diseducativo a mio modesto parere - cementificano l'ipotesi che la scuola sia veramente su un binario parallelo alla vita, qualcosa di altro, di altrove. Un luogo dove entro per acchiappare qua e là contenuti che non hanno nulla a che vedere con quel che accade a me, subito prima e subito dopo. Mentre vivo, e cresco, e soffro, e cerco quel che desidero, nel frattempo, son costretto a concentrarmi - impresa sempre più sovrumana! - per fissare nei miei slot cerebrali (quelli che poi mi si esauriscono, come la dote giornaliera di indignazione, sgrunt!) cose scritte, dette, pensate da altri, che mi devo costringere a inscatolare in qualche cassetto mentale, per tirarlo fuori quando mi serve - cioè quando gli adulti me lo chiedono. 

Ovvio che non vedo l'ora, appena uscito da quella porta, di rituffarmi nel telefono, nei reels, nello spegnimento del suddetto cervello, o in qualsiasi altra cosa mi possa "distrarre", pensando ad altro - in modo violento, per altro. Perché dovrebbe essere l'opposto proprio, l'opposto: che ogni cosa incontro mi apra, mi spalanchi a me stesso, al mio desiderio,  a chi sono e chi voglio diventare.

Ho stampato nella mente, con estrema precisione, il mutamento di espressione che coglie il volto di ogni studente quando "capisce" qualcosa. Non quando la "capisce" perché sono riuscita a incastrargli nella testa un concetto che prima non c'era e che son riuscita ad appendere lì come un quadro alla parete. No, intendo quando la "capisce" davvero, quando quel contenuto diventa suo, diventa qualcosa di cui si può servire davvero, non nella verifica o nell'interrogazione. Qualcosa che sta vivendo, che entra nella bergsoniana memoria, "una durata che conserva il passato nel presente". Diventa parte di lui. Anzi, diventa in qualche modo "lui". Che dovrebbe essere il fine del nostro sforzo educativo, o no? 

E poi?

Eh, e poi non mi sarebbe dispiaciuto aver avuto l'opportunità di svolgerla anche io, questa prima prova dell'esame di stato 2025. Quale traccia avrei scelto? Beh, nessuna: avrei raccontato di come il poeta usa la scrittura per interrogarsi sul senso della propria esistenza (come Pasolini) e riconosce che questa esigenza di significato va oltre il rispetto della legalità - che è necessaria per la civile convivenza, ma non può radicarsi se non in un profondo riconoscimento della propria identità e del valore dell'individuo che viene prima dell'esser cittadino - va oltre la cura dell'ambiente - la vita della natura in relazione alla vita del pianeta, l'ambiente che è tale perché ospita e va rispettato perché infuso di significato e senso - va oltre i richiami ad un estrinseco rispetto dell'altro - se prima non siamo educati a rispettare l'umanità in noi stessi non sapremo rispettare, legalisticamente, nessuno e niente - che va oltre l'esigenza di stabilità economica -  infusa dai leader politici tramite gli strumenti di comunicazione di massa - oltre anche l'indignazione di cui, pare, i  suddetti strumenti di comunicazione ci deprivano, incanalandola malamente quando avremmo ben altri motivi per indignarci!

Insomma, una traccia sintetica che con un filo rosso unisca tutti i temi tutte le tracce, magari suggerendo a quelle canute teste riunite, ancora, intorno al loro tavolo ovale, che uno solo è il tema l'argomento che vale sempre la pena affrontare: la tua vita, il tuo destino. Non per come ti voglio plasmare, ma per come sei destinato a fiorire. Non è questo il fine della scuola?

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